Secco, dolce, semidolce… bianco, rosato, più raramente rosso.
Sono molti i modi per interpretare lo spumante.
A non mancare mai sono le bollicine, il vero tratto distintivo di questi “vini della festa”.
I vini spumanti prendono il nome dalla spuma che si forma quando la bottiglia viene aperta: ciò avviene a causa della presenza di anidride carbonica, ottenuta in modo naturale, per rifermentazione, e non addizionata artificialmente.
Nella produzione di spumante in Italia si distinguono varie zone d’eccellenza, tra cui Franciacorta e Oltrepò in Lombardia, l’Astigiano in Piemonte, il Veneto e il Trentino. A parte i vitigni classici (pinot nero, bianco e grigio, chardonnay), in Italia si ottengono risultati interessanti anche con vitigni quali verdicchio, torbato o inzolia.
La vinificazione
Per produrre vini spumanti si parte da un vino base ottenuto tramite normale vinificazione in bianco. Generalmente si raccolgono le uve un po’ in anticipo per una maggiore intensità degli aromi e per conservare una buona acidità. Spesso si opta per una cuvée, ovvero un mix di vini selezionati. A questa base si aggiungono lieviti e uno sciroppo zuccherino, noto anche come liqueur de tirage, che avviano la rifermentazione alcolica dello zucchero e quindi la spumantizzazione.
Ci sono due modi per ottenere vini spumanti: metodo Classico, con rifermentazione in bottiglia, e metodo Martinotti (o Charmat), con rifermentazione in contenitori chiusi tipo autoclave.
Metodo Classico
Il metodo Classico è il metodo tradizionale usato ancora oggi per la produzione degli spumanti migliori.
Dopo l’imbottigliamento del vino base insieme ai lieviti e al liqueur de tirage, le bottiglie vengono chiuse con uno speciale tappo a corona, sotto qui si trova una sorta di cilindro con un’apertura, detto bidule.
-Presa di spuma: le bottiglie vengono sistemate in posizione orizzontale e l’anidride carbonica che si forma grazie alla rifermentazione non può fuoriscire, così si scioglie nel vino base rendendolo frizzante. Alla presa di spuma segue l’affinamento sui lieviti, che può durare anche anni.
-Remuage: in seguito all’affinamento sui lieviti, le bottigile vengono poste in rastrelliere, chiamate pupitre, che hanno la forma di una grossa lettera A e permettono di portare gradualmente la posizione delle bottiglie da orizzontale a verticale. Questa fase nota come remuage consente di portare i residui verso il tappo per poi eliminarli successivamente.
-Sboccatura: è una fase conosciuta anche come dégorgement. Si immerge il collo della bottiglia in un liquido a una temperatura di circa -25° C, per congelare i residui accumulati e infine eliminarli attraverso stappatura meccanica. Una volta questa delicata operazione veniva svolta in maniera più artigianale, solo grazie alla bidule e all’abilità dei vignaioli.
-Dosaggio: fase delicata che consiste nell’aggiunta dello sciroppo di dosaggio, o liqueur d'expédition: ai produttori piace conferire a questo liquido un alone di mistero da ricetta segreta, in realtà si usa principalmente per ottenere le varie versioni zuccherine (extra brut, brut, extra dry, dry o sec, demi sec, dolce o doux) e consiste in normalissimo vino, a volte con l’aggiunta di zucchero o, più raramente, distillato. Gli spumanti a cui non viene aggiunto lo sciroppo di dosaggio, sono conosciuti come pas dosé.
Infine si procede alle ultime due fasi: la tappatura con il classico tappo ingabbiato, per evitare che l’eccessiva pressione lo faccia saltare anzitempo, e il confezionamento, in cui si lascia che lo sciroppo di dosaggio si mescoli bene allo spumante e vengono applicate le etichette sulle bottiglie.
Un esempio classico di vino spumante italiano prodotto con metodo Classico è lo spumante Franciacorta metodo Classico.
Metodo Charmat
A ideare e brevettare il metodo Martinotti/Charmat fu invece l’enologo piemontese Federico Martinotti nel 1895, mentre il francese Eugène Charmat costruì e brevettò l’attrezzatura vera e propria nel 1910. Per le tempistiche di lavorazione più brevi e i costi più contenuti è un metodo orientato a logiche produttive industriali. È inoltre particolarmente adatto alla produzione di vini dolci, con l’utilizzo di vitigni fruttati e aromatici (come moscato, glera e malvasia): pare infatti che il lungo periodo a contatto con i lieviti previsto dal metodo Classico influisca negativamente in questo senso.
L’Asti e il Prosecco, gli spumanti italiani forse più conosciuti al mondo, vengono prodotti quasi esclusivamente con questo metodo.
Le fasi della spumantizzazione con metodo Charmat sono molto simili a quelle previste dal metodo Classico. La differenza fondamentale è che avvengono in grossi contenitori tipo autoclave e in tempi più brevi.
Dopo l’affinamento sui lieviti, una fase caratteristica del metodo Charmat è il travaso isobarico: per separarlo dai depositi lo spumante viene centrifugato e poi travasato in una diversa autoclave per chiarificazione e correzione dello zucchero. Infine lo spumante viene filtrato ancora una volta e infine imbottigliato.
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